Share

Condividi

Il nostro codice civile all’art. 2740 c.c. prevede la c.d. garanzia patrimoniale
generica per la quale “il debitore risponde dell’adempimento delle
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
Questo vuol dire che (in termini molto generici) se ad esempio Tizio ha
chiesto del denaro a Caio, e alla scadenza pattuita non glielo può restituire,
Caio (che è il creditore) può chiedere che vengano messi in vendita dei beni
di Tizio (debitore) fino al raggiungimento della cifra prestata. Tale tipo di
attività si definisce azione esecutiva ed è regolamentata nel codice di
procedura civile.
L’azione esecutiva individuale (cioè quella di Caio che agisce contro Tizio)
non poteva essere uno strumento idoneo per far fronte alla crisi di
un’impresa che non riuscisse più a pagare i suoi creditori. La crisi
dell’impresa derivante dalla incapacità di onorare regolarmente, con mezzi
normali di pagamento, le obbligazioni assunte alle scadenze pattuite (c.d.
insolvenza commerciale) aveva bisogno di una specifica disciplina e per tale
motivo il legislatore del 1942 ha racchiuso nella c.d. “legge fallimentare” una
specifica disciplina che regolamentasse la crisi dell’imprenditore. Tale
normativa si caratterizzava per la sua natura “punitiva” nei confronti
dell’imprenditore stesso che era marchiato del titolo di fallito in quanto era
.
stato incapace di fare l’imprenditore e questa sua incapacità aveva prodotto
dei danni a terzi ed alla società stessa.
Tale impianto normativo è rimasto invariato fino al D.L. n. 35 del 14 marzo
2005, il quale ha operato una rivoluzione in quanto si è iniziato a
considerare l’imprenditore fallito non come un soggetto meritevole di una
punizione in quanto era stato incapace di svolgere al meglio l’attività di
impresa, ma come un soggetto che invece andava aiutato a gestire la crisi,
a gestire l’insolvenza dell’impresa, per dargli la possibilità di poter
ristrutturare la propria posizione.
Da questo diverso modo di guardare all’imprenditore fallito e dalla profonda
crisi economica che dal 2008 in poi ha colpito il nostro Paese, ci si è resi
conto che non solo l’insolvenza dell’imprenditore poteva avere gravi
ripercussioni sul nostro sistema economico, ma che anche quella del
consumatore e dell’imprenditore non fallibile (ad es. il libero professionista
o il lavoratore autonomo) poteva avere forti conseguenze sul sistema
economico del Paese.
Infatti, a causa della crescente crisi economica, molte famiglie hanno
iniziato ad accumulare debiti, ad esempio perché non riuscivano più a
pagare le rate del mutuo o del condominio, incrementando sempre di più il
peso dei suoi debiti (c.d. sovraindebitamento).
Inoltre, mentre l’imprenditore nel nostro ordinamento aveva degli strumenti
legislativi che in qualche modo potevano aiutarlo, la stessa cosa non era
prevista per il consumatore, il quale rischiava (e rischia ancora oggi) di dover
convivere per tutta la vita con il suo sovraindebitamento, senza riuscire ad
estinguerlo per poi rientrare nel circuito economico.
Perciò, con l’aumento del progressivo indebitamento delle famiglie, o più in
generale dei consumatori, derivante non solo dalla conclusione di prestiti al
consumo (ad esempio finanziamenti per l’acquisto di un computer o un
telefonino o altro) ma anche dal c.d. sovraindebitamento attivo (cioè
derivante dalla stipula di contratti di mutuo per l’acquisto della prima casa)
da un lato, e data l’esigenza di adeguarsi ad altri Paesi dell’Unione Europea
come Francia e Germania che prevedevano una disciplina di
sovraindebitamento anche per l’insolvenza del consumatore dall’altro, nel
.
2012 si giunge ad una legge che ha consentito anche al c.d. debitore civile
di poter avere degli strumenti normativi per potersi liberare
dell’indebitamento senza il necessario consenso di tutti i creditori e
pagandoli anche solo in percentuale o in parte.
La Legge n. 3 del 2012 ha introdotto nel nostro Paese per la prima volta il
concetto di seconda possibilità per tutti quei soggetti “deboli” che,
naturalmente a determinate condizioni, prima fra tutte quella di non avere
determinato il proprio sovraindebitamento con comportamenti fraudolenti
o insensati, possono ricorrere a degli strumenti per potere rimediare al
sovraindebitamento ed evitare le azioni esecutive dei propri creditori. Tale
legge, conosciuta anche come “Legge Salva Suicidi”, prevede tre strumenti
per uscire dal sovraindebitamento:
1) l’Accordo di Composizione della Crisi, in cui si presenta un piano di rientro
ai creditori e si chiede loro il consenso. Se il 60% dei detentori del credito
sono d’accordo il giudice omologa il piano e il debitore versa quanto
promesso in base alle sue capacità reddituali;
2) il Piano del Consumatore, riservato ai soggetti che non hanno contratto
debiti in una attività di impresa, che prevede una proposta al giudice di un
piano di rientro anche qui basato sulle effettive possibilità di reddito del
debitore. Non è previsto in questo caso l’accordo dei creditori;
3) la Liquidazione del Patrimonio, che prevede che il debitore metta a
disposizione quello che ha in un tempo definito. Al termine del periodo, che
deve essere minimo di 4 anni, le somme ottenute dalla liquidazione dei beni
vengono distribuite tra i creditori e i debiti eventualmente rimasti vengono
considerati inesigibili ed il debitore, se verrà considerato meritevole, si vedrà
completamente esdebitato (cioè i debiti che non sono stati pagati saranno
cancellati).
Tuttavia, nonostante siano passati 8 anni dall’emanazione di questa legge,
ad oggi, nonostante il folto numero di potenziali soggetti che potrebbero
ricorrervi, è poco usata perché poco conosciuta.
Successivamente, sia per l’esigenza di armonizzare la disciplina prevista
dalla L. 3/2012 con le ulteriori modifiche apportate alla legge fallimentare,
sia per la necessità di rendere più fruibili gli istituti previsti che, appunto,
.
in Italia hanno trovato scarsa applicazione, si è revisionata la materia, ed è
stato redatto il c.d. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (decreto
legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 38
del 14 febbraio 2019 – Supplemento Ordinario n. 6.
Il Codice della Crisi d’Impresa ha ripensato agli strumenti predisposti dalla
legge 3/2012 in chiave di più facile fruizione. In caso di sovraindebitamento,
i soggetti che ne hanno i requisiti possono ricorrere a tre procedure:
1) il Piano di Ristrutturazione dei Debiti (artt. 67-73), riservato al
consumatore (sostituisce il “piano del consumatore”);
2) il Concordato Minore (artt. 74-83), rivolto al professionista,
all’imprenditore minore, all’imprenditore agricolo e alle start-up innovative
(sostituisce “l’accordo di composizione della crisi”);
3) la Liquidazione Controllata del Debitore (artt. 268-277) rivolta alle
categorie di soggetti sopraindicate (sostituisce la “liquidazione del
patrimonio”).
La nuova disciplina, che, tra gli altri istituti, si occupa anche del
sovraindebitamento, sarebbe dovuta entrare in vigore nell’agosto del 2020,
tuttavia a causa dell’Emergenza Covid-19 è stata rinviata al 1° settembre
2021. Pertanto, ad oggi e fino al 30 agosto 2021, trova ancora applicazione
la legge n. 3 del 2012.
Laura Oteri, avvocato, collaboratrice esterna Studio Vitali.

Post correlati